Prendiamo spunto dalla lettera di un nostro lettore per affrontare con il dott. Speciani l’argomento della ritenzione idrica:
Caro Luca Speciani, la seguo su queste pagine e ho letto alcuni suoi libri, tanto da convincermi a effettuare un test bioimpedenziometrico per l’analisi della composizione corporea. L’esito del test ha rilevato una notevole ritenzione idrica (il medico che mi ha visitato ha parlato di 3-4 litri di sovraccarico!) e ora vorrei capire come fare a liberarmene. Mi è stato suggerito un diuretico, ma ho la sensazione che possa essere una soluzione solo temporanea. Che cosa posso fare?
Giuseppe – Milano
· Inquadrare il problema
Caro Giuseppe, la prima cosa da fare è inquadrare correttamente il problema. Il nostro corpo è programmato per gestire con molta accuratezza l’acqua disponibile. Se siamo nel deserto terremo cara ogni singola goccia del prezioso liquido. Se saremo invece in luoghi umidi e ricchi d’acqua potremo eliminarne discrete quantità, conservando comunque sempre nel nostro organismo il livello necessario a tutte le nostre funzioni. Il nostro organismo dispone quindi di setpoint (punti di regolazione automatici) che si sono strutturati nel corso della nostra evoluzione all’interno del nostro cervello (nell’ipotalamo), e che ci consentono un’elevata flessibilità in ambienti diversi. Gli strumenti sono il rene, le ghiandole sudoripare e una serie di risposte neurologiche alla variazione dei livelli idrici che vanno dalla sensazione di sete fino ai comportamenti naturali verso il risparmio d’acqua (come per esempio ricercare l’ombra). Se l’ipotalamo riceve segnali importanti di disidratazione, oppure di intossicazione cellulare, la sua risposta sarà quella di farci trattenere una maggiore quantità di liquidi, al fine da una parte di compensare il nostro bilancio idrico e dall’altra di diluire il sale, i tossici o gli allergeni presenti nel nostro sangue e nei nostri spazi interstiziali. Per l’atleta il problema della ritenzione è grave: rappresenta un carico da portare addosso per l’intera gara e un notevole danno per la prestazione. Ma la ritenzione idrica non è solo peso o zavorra. È anche segno di potenziale malattia.
· Anche la disidratazione può fare danno
Ricordiamoci che l’uomo si è evoluto, a differenza degli altri primati antropomorfi, proprio grazie alla sua capacità di rimuovere con efficienza il calore durante la corsa. Tale caratteristica gli ha consentito, in epoche primitive, di sfiancare ogni genere di animale, dall’antilope alla zebra, per trasformarla in preda di caccia. Questo prezioso adattamento ci fa capire quanto delicato sia l’equilibrio tra calore prodotto con la corsa e la sua efficace rimozione. Una forte insolazione richiede ampio utilizzo del sudore: il meccanismo più efficiente di cui l’uomo disponga per rimuovere il calore. Un meccanismo però che comporta l’utilizzo di quantità elevate di acqua, aumentando il rischio di disidratazione. Idratarsi durante lo sforzo diventa dunque un obbligo, se si pensa che anche la sola perdita di un 10% dell’acqua corporea può ridurre la prestazione fino al 50%. I cali prestativi, tuttavia, possono essere marginali se si pensa all’altro rischio legato alla disidratazione che è lo scarso afflusso di sangue al cervello con conseguente rischio di svenimento. Svenimento che non sempre avviene in gara: può anche avvenire un’ora dopo, quando ci troviamo in auto sulla via del ritorno con pericoli, dunque, più grandi. Sia sotto sforzo sia nella vita di tutti i giorni è importante idratarsi, per mantenere livelli pressori adeguati, alte prestazioni e prevenire potenziali carenze minerali, crampi, iponatremia. Siamo nati dall’acqua, non dimenticarlo.
· Prestazione
L’ipotalamo regola le quantità di acqua corporea sulla base di specifici punti di regolazione che hanno una base genetica di partenza, ma che possono poi essere modificati dai nostri stili di vita. Se anche bevessimo 20 litri d’acqua tutti in una volta, il corpo tratterrebbe solo quei 2-3 corrispondenti al suo setpoint, eliminando gli altri con le urine. Un setpoint che sia invece sregolato dall’abitudine a pizze, salumi, formaggi, patatine, condimenti salati porterebbe a trattenere molta più acqua. Per l’atleta sregolato 3-4 litri d’acqua extracellulare in eccesso valgono uno zainetto di uguale peso da portarsi dietro per tutta la gara, con appesantimento notevole dal punto di vista cronometrico. Come evitarlo? Innanzitutto, riuscendo a quantificare il problema con una corretta bioimpedenziometria: un esame che – attraverso quattro elettrodi – misura con precisione la composizione corporea in termini di acqua, muscolo e grasso. Una volta verificata la ritenzione, è importante individuarne le cause più probabili. Per esempio una corretta anamnesi alimentare potrà rivelare un eccessivo consumo di sale. Non tanto in termini di sale aggiunto quanto in termini di alimenti che ne contengono in quantità eccessiva. La contemporanea presenza di sintomi allergici, anche stagionali, come riniti, asma, eritemi, gonfiori intestinali può orientare verso il controllo di intolleranze alimentari. Senza dimenticare che il livello infiammatorio può essere alto anche a causa di un uso frequente di cibi “spazzatura”, come gli zuccheri raffinati e i cibi dolcificati (bibite, gelati, dolciumi). Problemi di tipo epatico potrebbero riguardare chi assume farmaci con frequenza o beve alcolici (esami AST e ALT alterati), mentre insufficienza renale dovrà essere sospettata in chi presenti valori di creatinina e azotemia elevati, con GFR (glomerular filtration rate: tasso di filtrazione dei glomeruli renali) ridotto, più spesso con edemi visibili al viso: le classiche “borse sotto gli occhi”. La mia esperienza con gli atleti della nazionale di ultramaratona mi ha consentito di verificare come circa un terzo degli atleti esaminati con la bioimpedenziometria presentasse valori di acqua di ritenzione più alti della norma. È stato mio compito primario correggere, operando in modo individuale, caso per caso, attraverso una corretta rieducazione alimentare e con una dieta di rotazione per la prevenzione delle maggiori allergie alimentari. Obiettivo dell’intervento dovrà però essere una variazione in positivo del setpoint ipotalamico. Interventi contingenti (come quelli con farmaci diuretici) potranno avere solo un effetto temporaneo, non modificando in alcun modo le regolazioni interne dell’organismo.
(Tratto da Triathlete n. 214)