La superficie di appoggio
Abbiamo già accennato che se abbiamo una risposta secca (massima portanza della superficie di appoggio) la resa atletica sarà ottimale. Una resa ulteriore potrebbe essere fornita dalla risposta veloce ed elastica di un tappeto gommoso come quello delle piste sintetiche, ma per ora le competizioni su strada non lo prevedono per ovvi motivi.
Da un punto di vista della prestazione cronometrica, quindi, l’asfalto è certamente valido.
Da un punto di vista del traumatismo abbiamo degli inconvenienti legati a un potere ammortizzante pressoché nullo e alla possibilità di fattori torsionali di compenso molto contenuti (in pista, calzando le scarpette chiodate, abbiamo maggior potere ammortizzante e minor compenso torsionale).
Ma cosa intendiamo per compenso torsionale? Parliamo della capacità, da parte del piede, una volta appoggiato, di ruotare leggermente nei confronti della stessa superficie per assecondare armonicamente la proiezione del corpo in avanti (fisiologicamente si ha una leggera intrarotazione dell’avampiede).
La velocità di corsa
Più la corsa è veloce, maggiore risulta la forza di impatto con il suolo fino al punto in cui il baricentro del corpo impone di “shuntare” la prima fase di impatto del retropiede per un appoggio quasi esclusivamente sull’avampiede (avviene quando si raggiunge un ritmo di 3’ al km).
In questo caso sale di molto il consumo energetico, ma si ha più dispersione delle forze relative all’impatto grazie a un lavoro muscolare aggiuntivo. Ovviamente nelle lunghe distanze, come la maratona, risulta improponibile una corsa esclusivamente sull’avampiede soprattutto per l’anti-economicità di un simile esercizio.
Quando scrivo “improponibile una corsa esclusivamente sull’avampiede” preciso che sto parlando della maggior parte di noi umani, perché anche sotto questo aspetto la stratosfera della maratona mondiale sta proponendo esempi sbalorditivi.
La corsa molto lenta e prolungata tende a minimizzare l’utilizzo della muscolatura per contrastare la fase di decelerazione e si ha quindi un traumatismo da scarsa attivazione muscolare e un tempo di appoggio prolungato con l’esaltazione dei difetti biomeccanici.
La calzatura dell’atleta
Più la risposta è secca e meno vi è dissipazione di energia e quindi il muscolo ha potenzialmente più possibilità di caricarsi (pre-stiramento eccentrico) per proiettare il corpo in avanti. Ovviamente, in questo caso, l’effetto anti-traumatico viene a diminuire di molto, esponendo più facilmente le strutture anatomiche a forme di patologia che vedremo oltre.
Calzature ben ammortizzate e genericamente un dislivello antero-posteriore marcato collaborano nella difesa dai traumatismi da impatto così come i sistemi ammortizzanti messi a punto dalle varie aziende.
Il compromesso ottimale tra resa atletica ed effetto anti-traumatico è soggettivo, spesso dipendente dal peso del singolo e dai ritmi di corsa.
La tecnica di corsa
Dipende, come già accennato, dal ritmo, anche se può esservi una propensione personale a una corsa più sull’avampiede che, ovviamente, risulta meno traumatica (a eccezione di quello che riguarda le articolazioni metatarso-falangee).
Da un punto di vista biomeccanico il compenso di un’ortesi plantare studiata in relazione alle particolari esigenze del singolo può costituire un fattore di prevenzione riguardo alle patologie da sovraccarico funzionale.