Domenica, giugno, Klagenfurt (Austria).
Ho trascorso un inverno/primavera non esaltanti dal punto di vista fisico, dopo tanti anni di onorata militanza. Inoltre, provo anche ansia dovuta al fatto di rimettermi in gioco dopo anni, anche se la partecipazione al 70.3 di Rimini a maggio mi ha un po’ rassicurato.
Eccoci sulla start line
Alle 7 sono allo start sulla spiaggia del lago con Amedeo e altri 3.000 concorrenti circa; la giornata è serena e, anche se prevedono pioggia per la sera, tutto fa pensare a una bella e gioiosa festa di sport. Un good luck a chi è vicino e si parte! Gli occhialini sono un po’ appannati, sbaglio la traiettoria e il giudice sulla canoa mi urla di spostarmi al centro, finalmente mi inserisco nel famoso canale e nuoto per gli ultimi 800 m tra gli incitamenti e il sostegno del pubblico ai lati sui prati. Poco più di 1:20’ sono già nel tendone a cambiarmi insieme agli altri: chi si mette body ultimo modello, chi si mangia barrette, chi si spalma crema solare protettiva. Io opto per il collaudato completo Frecce bianche. Monto in sella e inizio la frazione per me più impegnativa e ostica: 180 km (182 per la precisione) in bici. Per 30 km siamo sul lungo lago, qualcuno cerca la scia ma i giudici col cartellino in mano scoraggiano gli scorretti. Tra un po’ comincerà la prima salita e mi conviene sgranocchiare qualcosa di solido; bene, sto andando ai 35 kmh, fin troppo veloce per i miei standard, meglio rallentare e godermi la vista del paesaggio. Che quiete, che tranquillità e quanto tifo nei paesini che attraversiamo ma anche… che nuvole scure in cima dove ci stiamo dirigendo! Dopo pochi km il primo violento e breve scroscio d’acqua ci da il benvenuto in Carinzia. L’acqua copiosa che mi oscura gli occhiali dà il via ai flash back del mio film.
Flash back
Agosto 2010, ho compiuto 40 anni, dopo molte corse podistiche, qualche duathlon e triathlon anche su distanza lunga penso di essere pronto per un Ironman. La scelta è caduta su Zurigo. Fa freddo e non smette mai di piovere. Esco dall’acqua e cerco la mia borsa, è già aperta. Qualcuno deve averla scambiata per la sua. L’abbigliamento è completamente zuppo. Pazienza, si parte lo stesso. Dopo pochi km foro, provo con la bomboletta a gonfiare ma è più la schiuma che mi rimane in mano che quella che va nella camera d’aria. Cambiare per me è sempre stato un problema, o meglio, se son a casa tranquillo, riposato con birra e musica in sottofondo ci riesco ma provate voi sotto il diluvio e le mani intirizzite! Fortunatamente smette di piovere, mi riprendo e anzi aumento il ritmo. Ecco la salita più tosta, breve ma violenta; per fortuna c’è il tifo, la musica a palla, uno speaker che incoraggia e gli incitamenti multilingue con tante scritte sull’asfalto. Altro scroscio d’acqua, nel secondo giro mi ritrovo anche folate di vento laterali e gli scrosci si fan più frequenti. Iniziano a farmi male un piede e la schiena, ormai diventata gobba ma per fortuna son quasi arrivato. Il percorso non era poi così veloce come dicevano, nella corsa spero di recuperare e poi è quasi fatta. Lassù qualcuno che fa il tifo per me mi avrà raccomandato al “Principale”: non ho forato, non son caduto e sta uscendo pure il sole. Sì, però questo sole comincia a picchiare un po’ troppo e l’umidità dà fastidio, certo non ai livelli dell’IM di Nizza, quando dovevamo affrontare 4 giri da 10 km sulla Promenade des Anglais. Ricordo ancora il ciabattare su quell’asfalto tra l’appicicaticcio dei gel gettati vicino ai ristori e il profumo di pizza e fritture che saliva dalla spiaggia.
Oggi
Oggi la condotta di gara sarà sempre la stessa: correre da un ristoro all’altro per 5 km, bere coca, acqua, succhiare arance e ripartire. Incrocio e incito Ame e Nicola, quasi alla fine della loro fatica, all’uscita di Klag al 10° km mi avvicino a Enrico, lo incito a seguirmi ma è in crisi. Ora le gambe girano anche perché sono all’ombra del parco. Ecco che sento in lontananza la musica e il famoso tormentone: “You are an Ironman“… peccato che è per gli altri, devo ancora fare il 2° giro, più di 20 km! Un mix di stanchezza, rilassatezza mentale mi pervade, inizio a camminare già prima del ristoro. “Hop, hop” mi gridano, ma non ho più forze, non ho più voglia di soffrire. Un bimbo che avrà 5-6 anni, con maglietta dello staff che gli arriva alle ginocchia, mi guarda con tenerezza e mi porge con orgoglio un bicchierino d’acqua urlandomi “Go, Go, Go!”; riprendo a correre solo per lui ma, girata la curva, ricomincio a camminare. Ormai è un alternare sempre più frequente di corsa-camminata. Finalmente fa più fresco, ripasso dal centro di Klag e mi mancano solo 3 km. Riacquisto energia, riprendo a correre e a supero una lunga fila. “SSSSuper“, mi dice un signore, stavolta la freccia del cartello indica “Arrivo”, non 2°giro! Eccomi sul rettilineo finale, sulla famosa moquette griffata IM azzurra. Mi volto, non ho nessuno dietro, intravedo lo speaker, sposto il pettorale per fargli leggere il nome… Dai, cosa aspetti a dirlo! Forza… “Paolo, you are an I-RON-MAN!”, finalmente glielo sento pronunciare, gli do il 5. Riesco a fare il saltello e toccare il display col tempo. Il tempo, già, ma chissenefrega del tempo (quasi 2 ore oltre il mio record). La miss mi mette al collo la medaglia di finisher e mi sorride “congratulations”: missione compiuta!
In conclusione
Ci sarebbe tanto da dire sull’evoluzione di questo sport, sul lato commerciale, spettacolare, retorico e patinato di tutto il prodotto. Penso di essere abbastanza smaliziato per capire quanto c’è di costruito e di genuino, dopo tanti anni di gare.
Una cosa è certa, comunque: stare in azione per 11 e più ore (parlo per me) richiede un notevole sforzo, forse più mentale che fisico, e qui esce la vera mentalità e la filosofia dell’“uomo d’acciaio”: non arrendersi mai se le cose vanno male, provarci sempre perché le crisi vanno e vengono per tutti. Ognuno è in lotta con se stesso, ci si deve mettere in gioco e crederci sempre; non occorre avere un fisico palestrato, una bici da 7.000 euro e seguire tabelle stakanoviste.
Quando sono tornato a prendere la bici sotto il diluvio, vedevo arrivare al buio altri concorrenti, i soliti giapponesini onnipresenti, alcuni pimpanti, altri barcollanti. Chissà quante crisi e inconvenienti avranno dovuto superare, e quanti problemi e storie personali avranno dovuto affrontare per arrivare fino a lì. Anche per loro, di lì a poco, sarebbe stata scandita la famosa frase. Prima però, mi auguravo per loro che avessero incontrato quel bimbo con la maglietta alle ginocchia e il suo bicchierino, lontano dai riflettori, dai fotografi, e sentire il suo “Go, Go, Go!”.