Gentile dottor Confalonieri,
sono un giovane triatleta di livello medio-alto che sta gradualmente incrementando qualità e quantità dei propri allenamenti. Recentemente ho discusso con i miei compagni di squadra in merito alle cause della fatica e del dolore muscolare che caratterizzano l’allenamento e le ore successive. Potrebbe chiarirci un po’ la situazione?
Grazie,
Lorenzo Affaticati
Caro Lorenzo,
lo stato di fatica o di dolore acuto che insorgono durante o al termine di un allenamento o di una gara rappresentano un preciso indice della situazione organica e un importante misuratore dell’intensità di un esercizio. Risultano determinate da due differenti situazioni biochimico– metaboliche legate al tipo di sforzo sostenuto.
Fatica post esercizio anaerobico intenso
Uno sforzo intenso e relativamente breve determina un accumulo di acido lattico a livello muscolare ed ematico conseguente all’utilizzo dei meccanismi energetici di tipo anaerobico. Si instaura in questo modo uno stato di acidosi acuta che si traduce in una notevole sofferenza organica e in una diminuita efficienza muscolare legata a una diminuzione dell’attività enzimatica e a una più difficoltosa interazione tra actina e miosina a livello delle miofibrille muscolari. Il superamento di questa condizione è legato al pagamento del debito di ossigeno con smaltimento dell’acido lattico accumulato e richiede dai 30 ai 60’ per completarsi. La presenza di elevati livelli di acido lattico è quindi responsabile esclusivamente della fatica e del dolore muscolare che caratterizzano l’attività e le fasi immediatamente successive a essa. Il dolore del giorno dopo è invece legato ai processi di riparazione delle fibre muscolari utilizzate durante l’attività.
Fatica post esercizio prolungato di tipo aerobico
Una competizione o un allenamento protratti nel tempo comportano un progressivo esaurimento del più importante substrato energetico, il glicogeno depositato a livello muscolare ed epatico. Qualora l’esercizio risulti particolarmente impegnativo e prolungato, può instaurarsi un quadro ipoglicemico con una sofferenza del sistema nervoso centrale. Lo stato di fatica legato alla crisi ipoglicemica è prevenibile con una certa efficacia attraverso l’assunzione durante l’esercizio di zuccheri ad assimilazione modulata nel tempo come le maltodestrine e soprattutto mediante un corretto carico di carboidrati complessi (pasta o riso…) nelle ore precedenti l’attività. Accanto alla fatica acuta da acidosi o ipoglicemia e al dolore muscolare indotto dai processi rigenerativi delle fibre, fenomeni naturali e funzionali alla costruzione della prestazione sportiva, esistono poi lo stato di affaticamento cronico e la sindrome da sovrallenamento, molto più pericolosi e meritevoli di attente strategie di prevenzione. La prestazione sportiva è paragonabile a una condizione di stress per il nostro organismo: essa induce, infatti, un’attivazione del sistema simpatico e una risposta ormonale caratterizzata dall’aumentata sintesi di catecolamine, corticosteroidi, ACTH e GH. Una scorretta e irrazionale programmazione dei carichi e, in particolare, la frequente ripetizione di esercitazioni a impegno elevato unita a un numero insufficiente di giornate dedicate al recupero e al riposo può portare a un esaurimento funzionale dei sistemi preposti alla sintesi di queste sostanze e alla progressiva insorgenza di un sovraffaticamento cronico e di una sindrome da sovrallenamento cui per altro possono contribuire: irregolarità del sonno e dell’alimentazione, patologie infettive subcliniche acute o croniche, alterazioni del quadro ematologico.
Caratteristiche fondamentali della sindrome da sovrallenamento
– Diminuzione delle capacità fisiche e del livello prestativo.
– Disturbi psicologici, in particolare, suscettibilità, scarsa disponibilità,
– ansia, insicurezza.
– Disturbi del sonno.
– Disturbi dell’appetito.
– Aumentata suscettibilità agli infortuni e alle malattie