La mente umana è come un paracadute: funziona solo quando è aperta.
(Albert Einstein)
Il dopo Olimpiadi nell’ ultimo convegno del Coni sancisce all’unanimità che la performance olimpica, con il conseguente risultato che ne deriva, non può fare a meno dello specifico allenamento mentale per fare la differenza. Oltre alla tecnica, al fisico il bilanciamento della prestazione passa attraverso una costante dedizione in termini di esercizi/tempo tra interazione su inconscio e intelligenza del corpo. Solo un 20% degli atleti presenti ai Giochi di Londra è riuscita a trasferire, a far corrispondere il proprio potenziale in gara! E tutti gli altri? Potremmo dire che su di essi ha preso forma la casualità rispetto al problem solving come attitudine mentale. Alla domanda se qualche atleta anche nella nostra disciplina fosse aiutato nell’impresa da un mental coach, molti sembrano ribadire che preferiscono fare da soli.
- Gli altri
Allora cosa potremmo dire del team inglese o americano? Sicuramente non vi saranno passati inosservati quei nuotatori che si presentavano ai blocchi di partenza indossando cuffie d’ascolto, assordandosi con ritmi per annientare avversari, tifosi e paura di fallire. E che dire delle manie, dei portafortuna, le scaramanzie, le preghiere, gli sguardi al cielo, sintomi di timore prima della prova. Visto cosa è accaduto (vedi le “baruffe d’acqua” del nostro nuoto maschile e femminile), un po’ di dr. Freud non avrebbe fatto sicuramente male (il tempo c’è da Londra a Rio 2016).
- Reazioni
Ma il vero problema, e lo si è evidenziato nelle interviste post gara, è il fallimento: l’atleta non desidera prendere ulteriore consapevolezza e gestione della sua mente; si sente superiore e snobba qualsiasi professionale commento, l’alibi prima di tutto e la colpa sugli altri. Molte volte, infatti, non è consapevole di un difetto nel proprio metodo di approccio alla competizione. Meglio usare solo la parte razionale, concentrarsi sulla tecnica, sul fisico, pensando di avere la totale padronanza della situazione, ma le emozioni si scaricano sui muscoli. La genialità del campione passa attraverso la conseguente gestione della casualità della prestazione; come coach S.F.E.R.A. asserisco che bisogna agire “sulle cose che non sappiamo di dover sapere”. Il giorno della competizione le incognite, se non controllate, saranno molte: la mente come si comporterà? Il corpo come reagirà a quella situazione? Gli avversari, lo staff, i materiali, l’ambiente, le condizioni meteorologiche e altro: tutto potrà capitare se non “testato” in allenamento, e porterà il perdente a trovare sempre nuove scuse. Per contro, potremmo portare ad esempio il campione del tiro con l’arco Michele Frangilli, dove la freddezza dimostrata è stata così importante che ha fatto chiedere a molti: “Ma come ha fatto?”. La sua risposta: “Restavano pochi secondi. Sapevo che con un 10 sarebbe stato oro. Ma anche che l’8 ci avrebbe condannati e il 9 voleva dire spareggi. Ho solo provato a svuotare la mente. Bisogna fare così”; il segreto: “Ripetere in gara quel che s’è fatto in allenamento, per anni”. E che dire di Jessica Rossi, trionfatrice nella gara di trap, disciplina del tiro a volo? L’atleta ripeterà più volte che si era immaginata la finale proprio come poi realmente è accaduta.
- Testimonial
Testimonial del modello di allenamento mentale da me seguito: Daniele Molmenti, campione mondiale 2010 e tre volte europeo, che nella finale del K1 della canoa slalom prende il titolo olimpico al Lee Valley Withe Center, per continuare con un’icona dello sport, Josefa Idem, otto Olimpiadi, che a 47 anni arriva a un soffio dal podio per soli tre decimi e chiude al 5° posto la finale nel K1 500. Per passare a un team d’eccellenza, la nostra nazionale di pallavolo: un bronzo che sa di oro battendo per 3 a 1 la Bulgaria, dopo una gara più sofferta del previsto e guidata da Berruto, un coach decisamente mentale. Un altro esempio, questa volta straniero: Rebecca Adlington, bronzo nel nuoto, ringrazia il suo mental coach per averla aiutata a visualizzare a occhi chiusi la piscina, respirare senza affanno e gareggiare serena. Ogni quattro anni, quando arrivano le Olimpiadi, ci si ricorda dell’interazione tra atleta e questo tipo di coach.
- Talenti
Ci sono talenti dove l’atleta è mental coach di se stesso; è il caso diMichael Phelps: nel momento di addio alla carriera, avvenuto proprio nelle ultime Olimpiadi, dopo aver vinto di tutto rilascia questa dichiarazione: “Se voglio svegliarmi tardi lo farò, se c’è un posto dove voglio andare ci andrò. Voglio vivere”. Una riflessione intensa, certo, ma chi fa sport a quei livelli e ha dedicato ogni momento della propria vita al superamento dello stress alla massima sopportazione fisica e mentale può capire. Tutti sanno che per ottenere risultati straordinari è necessario imparare a gestire le proprie emozioni e imparare a entrare in particolari stati d’animo potenzianti.
- Che fare
Per la nuova stagione abbiamo il tempo di pianificare un dettagliato piano d’azione sulla nostra performance, possiamo avvicinarci alla consapevolezza e scoperta del nostro potenziale. Prepararsi mentalmente vuol dire attingere a un “doping” etico e legale. Quanto incide? Almeno un buon +30%: le reazioni che possiamo apportare sono velocissime, cambiamenti e atteggiamenti influiscono sull’energia della prestazione. Quindi, a parità di allenamento fisico e tecnico, quale atleta non vorrebbe avere a disposizione un +30 % per il proprio risultato? E se per ottenere un certo risultato il tempo da dedicare fosse dimezzato potrebbe o no fare la differenza? Iniziamo proprio oggi ad allenare la testa, con la consapevolezza delle proprie sensazioni e poter così aumentare il controllo di tutto quello che accade. Allora… Vi aspetto a Rio 2016!