A Pescara emozioni impagabili
La gara, incastrando gli impegni di lavoro e famiglia, è stata preparata a partire dai lontani mesi invernali; allenamenti singoli, doppi, combinati e tripli, con la pioggia, al freddo e al buio, spesso all’alba, con la città ancora dormiente. L’ho vissuta un po’ come una sfida: contro vari acciacchi e imprevisti, contro me stesso, la fatica e a volte il dolore. Alla partenza della gara, mi sono tornati in mente tutti quei km, i sacrifici fatti e ho sentito solo che sarei andato avanti a ogni costo, fino al mio traguardo.
Tutto ha inizio
Arrivo alla partenza un’ora prima, tutti in acqua fino quasi agli scogli, da dove partiremo. E via! Musica a palla, speaker, caos, incitamenti. Poi, appena in acqua, il silenzio, in una dimensione tra cielo e mare. Sono completamente solo, io e il mio respiro, con il fondo che prima vedo e poi si allontana gradualmente, man mano che prendo il largo, in balia di qualcosa di infinitamente più grande di me, che mi ospita sì, ma alle sue regole. Nuoto regolare, in mezzo al gruppo, buona frequenza, leggero di gambe, mi serviranno dopo. Vedo uno che sta male, sguardo fisso nel vuoto, lo tirano su dalla barca di appoggio. Spero non sia nulla di grave, non posso fare nulla per lui e tiro dritto, con in mente i fotogrammi del suo salvataggio come flash scattati a bracciate alterne ogni volta che ho respirato da quel lato. Tocco terra, mi alzo nell’acqua bassa e corro verso la zona cambio, subito torno nel mondo reale, tra stuoie e gente che, dietro le transenne, incitano tutti. Salto sulla bici e, dopo una ventina di km, ecco le salite. Le affronto insieme ad altri e tutti arranchiamo un po’. Fuori dalle case c’è tanta gente che ci incita, per loro è uno spettacolo e per noi è ancora più bello! Nelle discese vado veloce, ma presto mi accorgo del pasticcio: sono cadute le borracce e, a 30 km dalla fine e con la mezza ancora da correre, i ristori sono finiti e la mia acqua pure. Ma si deve andare avanti.
Ecco la corsa
Solo 21 km e rotti alla fine! Inizio a correre, poco più di 4 giri nel cuore di Pescara. La fatica si fa sentire, ma giro dopo giro viaggio verso l’arrivo. Ancora una curva e arrivo sul tappeto rosso, quello d’onore. Taglio il traguardo, qualcuno mi mette la medaglia al collo, è finita! Sul tabellone digitale leggo il mio nome, la speaker al microfono urla “Paolo, sei un finisher!”.
Che dire?
Custodirò dentro di me tutte le emozioni vissute, impagabili, in attesa di riviverle ancora nel prossimo triathlon, uno sport duro e difficile ma straordinariamente coinvolgente. Ciao, al prossimo Ironman!
(Tratto da Triahlete n. 217 – Aprile 2015)