La storia che vi raccontiamo oggi è una storia che parla di passione e sacrificio, del coraggio di dare una svolta importante alla propria vita.
E’ una storia che ha incuriosito ed emozionato noi e sono sicura che emozionerà anche i nostri lettori.
La prova che “Impossible is nothing” è la storia di Linda Scattolin, docente universitaria, atleta allenata da Edith Niederfriniger che lo scorso anno ha fatto il salto di qualità passando da age-group a professionista, e che abbiamo intervistato per voi dopo l’ottimo inizio di stagione all’IM 70.3 South Africa.
Come ti sei avvicinata al triathlon e in particolare alle lunghe distanze?
Sono sempre stata un’ appassionata di sports e per anni ho praticato atletica leggera, come velocista pura. Un giorno, verso i 20 anni, mi sono resa conto che non mi stavo divertendo più a gareggiare. Semplicemente non vincevo più, e la mia innata indole di agonista era insoddisfatta. Ho smesso di andare sulla pista rossa ed ho iniziato a correre senza cronometro in mezzo ai boschi. Spesso, mentre incosciamente allungavo sempre più le mie amate uscite, pensavo che non sarei tornata più a fare una gara. Di qualsiasi tipo. Mi piaceva così. Partire senza una meta precisa e senza un cronometro e stare via ore, sia a piedi che con una vecchissima mtb.
Poi è arrivata la mia prima bici da corsa, tanto per provare. E lì si è di colpo risvegliata la parte competitiva, probabilmente solo sopita per qualche anno.
Uno più uno fa… TRI!!! Quindi… via subito a ruota col nuoto, soprattutto in acque libere, dove mi piaceva l’idea di macinare km, più che guardare cronometro. Poi ho compreso che era molto meglio riprendere anche il cronometro, per soddisfare completamente il lato agonistico, e sono arrivata alle prime gare di triathlon in Italia, 6 anni fa.
Ho provato tutte le tipologie di gara, e dopo due anni ho selezionato le gare no draft, olimpici e medi, perché mi permettevano di esprimere meglio la mia frazione di punta, ovvero la bici. Nel 2012 ho fatto il mio primo Ironman.
E lì ho capito dove volevo andare! Delle gare lunghe ho amato da subito il lato più solitario, sia in allenamento che in gara, nonché l’ aspetto mentale, l’importanza del conoscersi e del lavorare con se stessi. Con la mia Coach Edith Niederfriniger, che mi allena da tre anni, riflettiamo spesso su questo.
Vince chi è capace di soffrire di più, ogni giorno, con pazienza. E senza dimenticare un sorriso.
Come riesci a conciliare la carriera universitaria e quella sportiva?
Da agosto 2014 ho optato per una riduzione del carico didattico all’Università. Una scelta difficile, ma importante e necessaria per poter competere ad alto livello nello sport (da gennaio 2014 ero passata a pro).
Economicamente è dura, ma numerosi atleti pro nel mondo vivono così.
Come è cambiata la tua vita con il passaggio lo scorso anno alla categoria PRO?
Mi sono sentita molto più responsabile, ogni giorno, delle mie azioni, dalle più piccole alle più grandi. Vado a letto molto presto, per riposare almeno otto ore, pianifico bene tutto, sto più attenta al denaro speso, non esco praticamente mai per i classici divertimenti/appuntamenti sociali. Il tempo dedicato a qualsiasi altra attività che non sia il lavoro all’Università, gli allenamenti ed i recuperi, è ridotto al minimo.
Puoi farci un bilancio della stagione passata?
Nel 2014 sono stata soggetta a due grandi infortuni che hanno compromesso quasi tutta la stagione. Una fascite plantare prima ed una successiva (conseguente) frattura da stress ai metatarsi del piede, al 70.3 di Pescara. Tra i due eventi sono riuscita ad ottenere un decimo posto nell’Ironman South Africa, pur non avendo potuto allenare la corsa.
Un anno di lavori alternativi (ore ed ore di aquajogging) per non caricare sul piede, soprattutto da giugno in poi. Un anno in cui chi crede in me (in particolare Edith, gli amici della Padovanuoto e Nutrilife) non mi ha mai lasciata sola.
Un anno usato per aumentare il mio fondo aerobico, senza piangermi addosso.
Alla luce dell’ottima prestazione di inizio stagione all’IM70.3 South Africa, cosa ti aspetti e quali sono i tuoi obiettivi per il 2015?
Sono felice di questo risultato. Mi sono potuta confrontare con le migliori specialiste di questa distanza e con atlete veloci che vengono dall’olimpico. Una grande opportunità per verificare ad inizio stagione la mia situazione, soprattutto dopo mesi di stop. Devo lavorare ancora tanto, sopratutto in corsa, ma le sensazioni erano comunque buone. Per il 2015 mi aspetto un miglioramento progressivo in tutte e tre le discipline, per portarmi ad un livello ancora più alto a fine anno, quando inizierò a raccogliere punti per la difficile qualifica pro alla finale Ironman di Kona 2016.
I prossimi obiettivi principali sono: Ironman South Africa il 29 Marzo e Ironman Copenhagen a fine agosto.
A cosa è disposto a rinunciare un atleta per inseguire un sogno?
A tutto ciò che non sia amore e rispetto.
Fatti una domanda, datti una risposta (parole a ruota libera)
Perché gareggi molto meno in Italia rispetto a quando non eri pro?
Semplicemente perché, come atleta pro, pongo maggiore attenzione a due aspetti: il mio budget e ancor più sicurezza in gara. Purtroppo, salvo rari casi, le gare in Italia avrebbero costi più alti, per assurdo, montepremi più bassi, e meno sicurezza nelle strade (spesso aperte al traffico).
Un’ultima curiosità: sui social network sei “Fi-Xie”, da dove deriva il tuo nome di battaglia?
Ho rischiato di fare un Ironman con rapporto fisso della bici per un problema al cambio il giorno prima della gara! Ma sarei partita comunque! Poi per fortuna si è risolto… ma il soprannome è rimasto!