Dopo i primi esordi sulle distanze corte (v. articolo pubblicato su nov/dic 2012 “Trovare la propria strada”), e sempre più affamato delle emozioni che questa disciplina può dare, senza badare a sacrifici e sforzi, ho “alzato l’asta” partecipando all’IronMan 70.3 Italy.
Questo sogno parte da molto lontano, forse da sempre ho desiderato, dentro di me, di partecipare a un evento simile. Sulla spiaggia di Pescara, appena arrivo vedo la mitica M rossa col pallino troneggiare sopra l’arco dell’arrivo, e io non riesco a credere di esserci finalmente, di essere in mezzo ai “marziani”… Mi sento minuscolo, ma lentamente questo faticoso sogno si materializza e mi sento sempre più di farne parte quando indosso il bracciale ufficiale: sono in mezzo allo show, sono co-protagonista insieme a oltre 2.000 atleti di tutto il mondo, pronti, finalmente, all’ultima lunga fatica. Contesto spettacolare: adrenalina a mille fin dagli inizio del week end abruzzese, con tutta la città pronta a caricarci. In men che non si dica arriva domenica mattina: cuffia gialla, muta allacciata, occhiatacce alle onde del mare che spazzano la superficie e tutti noi in fibrillazione sulla spiaggia.
Ho provato a isolarmi nel pre-gara tentando una sorta di yoga con esercizi di respirazione, ma il count-down è già iniziato, lo speaker ci sprona e io non posso non essere pronto a scattare in avanti e a tuffarmi insieme ai miei compagni di avventura!
Letteralmente urlando allo start, parto come un caccia tra le onde del mare, che non sono dolci per niente, anzi, ci respingono indietro a ogni bracciata, a ogni tentativo di raggiungere la boa, ma, un po’ gladiatore e un po’ point break (al limite, nda), riesco a sbucare tra le onde e a ultimare la 1^ frazione. Mi addentro poi sui colli, sempre costantemente accompagnato da un vento terribile che negli ultimi 15 km ho dritto sulla fronte; la mezza maratona che segue è ricca di pathos, con la gente che applaude e incita incessantemente, consci che proprio non ne posso più.
Io voglio solo baciare mia moglie al traguardo e stringerla più forte che posso, con la mente che vola a tutti gli allenamenti fatti con qualunque clima – nebbia, pioggia, sole, neve – e finalmente, tra un pensiero e l’altro, eccomi sul tappeto rosso, l’ultimo mitico corridoio, che si incunea tra la folla in delirio come se fossi una star, attimi e scene che fino a questo momento avevo visto, non so quante volte, sui video di youtube (chissà quanti lettori han fatto il mio stesso sogno e ora stanno sorridendo leggendo queste mie parole!).
Ed eccolo il grido dello speaker: “Luca you are a finisher!”. Sono esausto ma più forte e ricco grazie a tutte queste emozioni, tutti i sacrifici non sono stati vani. Non importa se non ho realizzato il tempo che mi ero prefissato: per me, come credo per tanti altri “colleghi”, nei momenti del nuoto-pedalo-corro c’è qualcosa che non si vede ma che si percepisce solo con il cuore, intimamente.
E poi, fino alla fine, non ho mai camminato!
Tratto da Triathlete n. 215 di Gennaio – Febbraio 2015 in edicola o in abbonamento